Il valore probatorio delle chat WhatsApp

NEL PROCESSO PENALE

Le applicazioni di messaggistica istantanea – WhatsApp ecc. – sono ormai divenute uno strumento di comunicazione di massa, utilizzato quotidianamente da miliardi di persone per scambiare messaggi, immagini, video e file audio.

La loro semplicità e immediatezza le rende particolarmente adatte a conversazioni veloci e informali, ma qual è il loro valore probatorio ai fini legali?

In risposta a tale quesito è scaturito un dibattito tra gli operatori del diritto, in merito al quale la Cassazione è intervenuta in diverse occasioni al fine di chiarire l’utilizzabilità e la rilevanza delle chat sia in sede penale che civile.

In ambito penale, la Suprema Corte dopo aver chiarito che le chat di WhatsApp e gli sms (ma il concetto può estendersi alle chat di tutte le applicazioni) conservati nella memoria di un telefono cellulare sono equiparabili a documenti informatici e, come tali, avendo natura di documenti assumono valore probatorio e possono essere utilizzati come prova ai sensi dell’art. 234 del Codice di Procedura Penale (Cass., sentenza n. 49016 del 2017).

La Corte ha, altresì, precisato che è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza di cui all’art. 254 c.p.p. (Cass. n. 1822 del 12.11.2019), specificando, infine, che qualora non sia in corso un’attività di intercettazione delle comunicazioni, il testo del messaggio ha natura di documento e che per la conferma della sua validità non è necessario il sequestro dell’apparecchio, essendo sufficiente la semplice documentazione dei flussi (Cassazione penale sez. VI, 28/06/2023, n.38678), anche mediante un semplice screenshot.

NEL PROCESSO CIVILE

In materia civile vige nel nostro ordinamento il cd. principio di tipicità dei mezzi di prova, in base al quale possono avere accesso nel processo civile soltanto le prove espressamente previste e disciplinate dalla legge.

L’art. 2712 c.c. prevede che le riproduzioni meccaniche, fotografiche, informatiche (CAD) o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.

L’art. 2719 c.c. dispone inoltre che le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta.

Muovendo da tali disposizioni, la Cassazione ha riconosciuto pieno valore probatorio per gli SMS e per le immagini contenute negli MMS, ritenute elementi di prova integrabili con altri elementi anche in caso di contestazione (Cass. Civ. 11/5/05 n. 9884), chiarendo peraltro che in caso di disconoscimento della fedeltà del documento all’originale, rientrerebbe nei poteri del Giudice accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. 26/01/2000 n. 866, ex multis).

Allo stesso modo, tali disposizioni normative sono state riconosciute applicabili ai messaggi WhatsApp i quali, costituendo documenti informatici, sono ormai equiparati a tutti gli effetti ai documenti tradizionali ai sensi della L. 40/08, con conseguente applicazione della disciplina suddetta ed probatoria delle stesse.

In virtù di quanto sopra, pertanto, chat Whatsapp, sms ecc. possono sono state riconosciute idonee ad assumere valore probatorio nei giudizi di separazione e/o divorzio per comprovare tradimenti, abbandono del tetto coniugale ecc., nelle procedure di recupero credito per comprovare il riconoscimento di debito, nel rito del lavoro per provare contestazioni o licenziamenti, ecc