ONERE DELLA PROVA DELLE PARTI IN MATERIA DI DANNI DA ANIMALI SELVATICI

La materia della risarcibilità dei danni provocati dalla fauna selvatica, da sempre contraddistinta da indirizzi giurisprudenziali contrastanti, ha trovato un punto di arrivo grazie alla sentenza della Corte di Cassazione, Sez. 3 Civile, n. 7969 depositata in data 20 aprile 2020.

La pronuncia in esame, oltre ad essere importante perché individua l’ente responsabile a cui il danneggiato può chiedere il ristoro del danno ed il regime di imputazione di responsabilità, assume rilievo perché circoscrive il contenuto dell’onere probatorio posto a carico delle parti ed i rapporti tra i vari enti coinvolti nella gestione della fauna.

Dopo aver delimitato l’ambito della disamina, precisando che la problematica affrontata riguarda esclusivamente la tutela risarcitoria e non le tutele indennitarie per danni alle coltivazioni previste dalla legislazione delle singole Regioni ai sensi dell’art. 26 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, la Suprema Corte si è premurata di specificare il contenuto dell’onere probatorio posto a carico delle parti.

In applicazione del criterio oggettivo di cui all’art. 2052 c.c., il danneggiato dovrà allegare (ossia esibire argomenti a sostegno) che il danno è stato causato dall’animale selvatico – appartenente ad una specie protetta rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato – e dimostrare:

  • la dinamica del sinistro;
  • il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito;
  • l’appartenenza dell’animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla legge n. 157 del 1992 e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.

Per quanto riguarda la frequente ipotesi di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli ed animali selvatici la Corte ha, inoltre, specificato che non può ritenersi sufficiente la sola dimostrazione della presenza dell’animale sulla carreggiata e neanche che si sia verificato l’impatto tra l’animale ed il veicolo, il danneggiato dovrà provare che la condotta dell’animale sia stata la “causa” del danno (ai sensi dell’art. 2052 c.c.) e di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno (onere della prova a carico del conducente del veicolo in caso di incidenti stradali ex art. 2054, comma 1, c.c.).

Pertanto il conducente oltre a quanto esposto sopra, dovrà allegare e dimostrare:

  • l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida (da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici);
  • che la condotta dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente ed in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui – nonostante ogni cautela – non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno.

La pronuncia in esame conferma, pertanto, il costante indirizzo della S.C. a mente del quale il criterio di imputazione della responsabilità a carico del proprietario di animali di cui all’art. 2052 c.c. non impedisca l’operatività della presunzione prevista dall’art. 2054, comma 1, c.c. (il quale pone una presunzione di colpa a carico del conducente di veicolo senza guida di rotaie per danni prodotti a persone o cose, compresi anche gli animali, dalla circolazione del veicolo, che può essere superata dal conducente stesso dimostrando di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno)[1].

La motivazione alla base di quest’ultima conclusione è da individuarsi nel fatto che  l’art. 2054 c.c. esprime principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti che subiscano danni dalla circolazione e la conclusione che generalmente se ne è tratta è che vi sia una sorta di concorrenza tra due diverse presunzioni, per cui se nessuno supera la presunzione di responsabilità a suo carico dimostrando, quanto al conducente, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno e, quanto al proprietario dell’animale, il caso fortuito, il risarcimento andrebbe corrispondentemente diminuito.

La Regione dal canto suo, ai sensi dell’art. 2052 c.c., dovrà provare e dimostrare che il fatto è avvenuto per “caso fortuito” ed assumerà rilievo, per i motivi poc’anzi esposti, solamente laddove l’attore abbia già dimostrato la effettiva e concreta dinamica dell’incidente e cioè che la condotta dell’animale selvatico appartenente a specie protetta di proprietà statale sia stata la causa, esclusiva o concorrente, del danno.

L’oggetto di tale prova liberatoria, non riguarda direttamente il nesso di causa tra la concreta e specifica condotta dell’animale ed il danno causato da tale condotta (a carico esclusivo del danneggiato) bensì la circostanza che la condotta dell’animale si sia posta del tutto al di fuori della sfera di possibile controllo dell’ente, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno e come tale sia stata dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo.

In altre parole la Regione dovrà dimostrare che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile  e/o evitabile, anche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna e di connessa protezione e tutela dell’incolumità dei privati, concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto, purché, peraltro, sempre compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema cui la stessa tutela della fauna è diretta che naturalmente richiede che gli animali selvatici vivano in stato di libertà e non in cattività.

[1] In questo senso: Cass., Sez. 3, n. 2615 del 09/12/1970; Cass., Sez. 3, n. 778 del 05/02/1979; Cass., Sez. 3, n. 2717 del 19/04/1983; Cass., Sez. 3, n. 13016 del 09/12/1992; Cass., Sez. 3, n. 5783 del 27/06/1997; Cass., Sez. 3, n. 200 del 09/01/2002; Cass., Sez. 3, n. 11780 del 06/08/2002; Cass., Sez. 3, n. 3991 del 22/04/1999; Cass., Sez. 3, n. 4373 del 07/03/2016.